Il Mrzli Vrh

 

Questa, secondo i piani dell'esercito italiano, era una delle prime cime da doversi conquistare nei primi giorni di guerra.

Non fu così!

 

Il Mrzli Vrh, con la sua cima tondeggiante, visto dal Kolovrat. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questo nome, impronunciabile per molti, significa semplicemente: "cima fredda". 

Se qualcuno provasse a cercare sulle carte geografiche della zona troverebbe più volte, in località diverse,  questa dicitura. 

Un altro importante Mrzli Vrh dal punto di vista della storia della prima guerra mondiale è presente sul monte Matajur. Questo è legato alle vicende di Rommel.

Dalla cima di questo monte, alto appena 1.359 metri si domina prepotentemente il fondo valle, ovvero, in direzione sud,  quel tratto di strada che da Caporetto conduce a Tolmino e che è costeggiato dal fiume Isonzo. 

Veduta dal Mrzli Vrh - In basso la Soča - Isonzo che costeggia la strada Kobarid -Tolmin. In alto la catena del Kolovrat. 

In direzione est, abbiamo ai nostri piedi il così detto  "Ponte di Tolmino":  la linea fortificata di difesa austro-ungarica che gli italiani non riuscirono mai ad espugnare. 

Questa linea scendeva proprio dalla cima del Mrzli Vrh, raggiungeva il Kozlov Rob, una collinetta a nord di Tolmino sulla quale c'è un antico castello.

Il Kozlov Rob. Ai suoi piedi sulla destra la città di Tolmin.

La linea poi proseguiva verso sud, sui piccoli rilievi attorno i quali, scorre il fiume l'Isonzo mentre cambia in modo brusco la direzione del suo percorso; Bučenica, Mengore, Most na Soči (Santa Lucia), questi  sono i luoghi attraversati da questa linea fortificata; luoghi che hanno visto morire in modo atroce migliaia di soldati di entrambe le parti.

Sulla sommità di questa collinetta, abbracciata dalla Soča, abbiamo Bučenice. Sulla parte destra invece si trova Mengore; più a sud c'è un altra collinetta sulla quale si trova una località chiamata pure essa Mrzli Vrh. 

Mengore e la chiesetta di Santa Maria.

Purtroppo anche il Mrzli Vrh  avrà una fama come sinonimo di morte uguale ai posti appena citati e questo lo si può comprendere osservando dalla sua cima le ripide pendici ai suoi piedi.

Immaginiamo come da questa posizione, poche mitragliatrici, riescano a frenare qualsiasi attacco proveniente dal basso. Le pendici, allora, erano per di più prive di vegetazione. Nonostante queste condizioni, i comandi italiani, ordinarono ripetutamente attacchi che si rivelarono sanguinosissimi. 

Ad ovest del Mrzli Vrh abbiamo il Krn - Monte Nero, conquistato dagli italiani poco dopo l'inizio del conflitto.

Il Kozljak visto dal Mrzli. Questo rilievo è situato sulle pendici sud del Nero. Dal Kozljak  partì l'attacco decisivo per la conquista del Nero.

Da questa cima, come pure dal Kolovrat, il Mrzli Vrh era soggetto al tiro dell'artiglieria italiana.

Il Mrzli Vrh sormontato a nord dal Visoč Vrh e dallo Rdeči Rob.

Se i primi giorni di guerra sembrarono all'esercito italiano una passeggiata, questo fu perché l'esercito austro-ungarico si ritirò da quelle postazioni di confine che riteneva indifendibili. Ciò era dovuto anche al fatto che, essendo l'Italia fino a poco prima sua alleata, non erano state create lungo il confine particolari linee difensive. Ma dopo pochissimi giorni proprio qui si iniziò a capire cosa avrebbe significato quella guerra. I ripetuti attacchi italiani vennero sempre respinti e i morti si contavano a centinaia ad ogni attacco. Il battaglione alpino Cividale venne decimato, cosi pure la brigata Modena, Salerno e altri.

La violenza dei combattimenti e dei cannoneggiamenti è testimoniata dalla grande quantità di reperti bellici tuttora presenti sul terreno.

Reperti bellici ancora presenti sui prati del Mrzli nel 2014.

 
 
     

A nord-est del Mrzli abbiamo la valle lungo la quale scorre il fiume Tolminka. Si può anche vedere la chiesetta di Javorca.

 

La valle della Tolminka vista dal Mrzli.

Salendo al Mrzli da Tolmino - Zatolmin  possiamo osservare questa splendida chiesetta eretta durante la guerra in pochi mesi dagli austriaci.

E' la chiesetta di Javorca, nome preso dall'omonima cima di 1.001 metri situata più in alto.

Fu consacrata nel novembre del 1916.  Sui muri laterali sono fissate tante tavolette dove sono incisi i nomi dei soldati dell'esercito austro-ungarico caduti.

Queste tavolette sono quelle delle cassette che contenevano le munizioni.

Anche le perdite di vite umane dell'esercito austro-ungarico per il Mrzli furono notevoli. 

Sulle tavolette apposte sui muri di questa chiesa sono presenti quasi tremila  nomi, mentre quelle dell'esercito italiano superarono i novemila.

La chiesetta di Javorca.

 

 

Mrzli Vrh, cima inespugnabile!

 

I primi attacchi a questa cima da parte del battaglione "Susa" furono portati dal 29 maggio 1915 al  primo di giugno.

In questi attacchi le truppe italiane subirono gravi perdite.

Il 12 agosto dello stesso anno gli attacchi furono ripetuti, ma senza successo, come pure vennero respinti diversi attacchi portati in ottobre, a fine novembre e i primi di dicembre.

Dalle postazioni del Kolovrat gli Italiani continuavano a cannoneggiare il Mrzli Vrh;  solo nel mese di novembre riuscirono a conquistare qualche singola postazione, come quella chiamata del "Truccchetto", posizione che persero dopo qualche mese. La cima comunque rimase in mano austriaca.

Tra i vari attacchi, dove con prezzi altissimi in termini di vite umane, si conquistavano pochi metri di terreno, che poi in breve si perdevano nuovamente, fu significativo quello del 21 ottobre 1915 dove gli italiani presero quello che era chiamato "Il Trincerone". 

Il luogo, ora circondato da alberi, dove era situato il  "Tincerone" . 

 

Vivere in  trincea.

Se consideriamo tremendo il momento della battagliala, e quelli che potevano essere i pensieri di un soldato prima dell'inizio di questa (non tutti erano eroi, ma tutti sapevano bene che si partiva in 100 e dopo qualche ora si poteva ritornare in 20 o 30), non meno rischiosa e priva di sofferenze era la vita in trincea.

Quando poi, come sul Mrzli le trincee erano vicinissime, bisognava stare immobili  per tutta le giornata, in posizioni massacranti, in un ambiente immondo.

I caduti nelle battaglie spesso rimanevano sul campo o impigliati nei reticolati che avevano ostacolato la loro avanzata; questo perché avvicinasi per soccorrere  un ferito o cercare di dare sepoltura a un caduto, significava doversi esporre al fuoco del nemico.  Per cui  la permanenza in trincea era anche una convivenza con cadaveri in putrefazione distanti pochi metri. Corpi in decomposizione che emettevano un odore nauseabondo, che venivano slavati dalle piogge, e queste acque scendevano formavano pozze di fango nelle quali giaceva rannicchiato e immobile il soldato di guardia. Come se ciò non bastasse in trincea arrivavano pure gli escrementi della trincea sovrastante, che il nemico si divertiva a riversare sul proprio nemico.

L'elmetto quando c'era, (i nostri soldati iniziarono la guerra senza gli elmetti di protezione; questi vennero dati ai soldati nel corso del conflitto ed erano elmetti dell'esercito francese) andava indossato di continuo, pure sotto il sole cocente delle giornate estive, e sotto le lamiere roventi che coprivano le postazioni. 

Se il sole d'estate cuoceva i soldati, il freddo d'inverno li congelava. Immaginiamo un soldato di guardia, che deve stare immobile per molte ore con temperature che si aggirano a meno venti gradi. Molti furono i soldati morti per congelamento, come molti furono quelli travolti dalle valanghe.

 

La cima del Mrzli vista dal "Trincerone".

Quando gli italiani conquistarono il "Trincerone" si trovarono a stretto contatto con le trincee austro-ungariche situate in posizione sopraelevata, nel mezzo di queste radure.

In tutta questa disumanità, a volte ci fu anche qualche momento in cui gli uomini tornarono ad essere tali. C'era chi comprendeva la lingua o addirittura il dialetto che parlava il soldato nemico. Questo perché il confine aveva diviso spesso paesi vicini  e genti che prima della guerra convivevano pacificamente. Capitava che un soldato chiedesse, senza poterlo vedere, al soldato della trincea nemica come si chiamasse. A volte i soldati volevano vedere il volto del soldato con il quale avevano iniziato a dialogare, e, rischiando la vita, il soldato si affacciava alla trincea mostrando il suo volto.

Questi atti erano severamente vietati dai comandi superiori, i quali temevano che con un simile comportamento ai soldati venisse meno la voglia di combattere. I soldati se ne infischiavano, tanto i superiori stavano lontani dalla trincea.

Con questo riusciamo a capire ancora meglio quanto stupida e assurda sia la guerra.  

L'uomo ha sospeso temporaneamente il quinto comandamento (non uccidere), ma per trarne vantaggio, con la chiesa compiacente, usa abbondantemente il terzo (ricordati di santificare le feste). 

Le Sante Messe e le Comunioni prima delle battaglie aiutano il soldato credente ad avere meno timore della morte.

La fede dei soldati era  profonda in entrambi gli schieramenti, e di questo ci sono testimoni vari documenti. Abbiamo appena visto sopra la bellissima chiesetta di Javorca, costruita a valle dai soldati austro-ungarici. Qui sotto vediamo quella costruita all'interno di una caverna proprio sul Mrzli Vrh.

Ingresso alla chiesetta costruita al riparo, all'interno di una caverna.

L'interno della chiesetta dedicata alla Vergine Maria.

All'interno, sull'altare, c'è una statuetta con la scritta:

"Vergine Maria,  madre nostra, protettrice del tuo popolo".

I militari del Mrzli erano prevalentemente ungheresi, come possiamo vedere pure dalle corone apposte.

Se la fede era necessaria per sopravvivere in questo luogo di morte, le fede venne, piano, piano, a mancare ai soldati italiani, ma quella era la fede nella vittoria, nella conquista di questa cima maledetta; maledetta già nella difficoltà a pronunciare il suo nome.

Gli aspri e disumani combattimenti, come le disumane condizioni in cui si trovavano i soldati mettevano a dura prova l'equilibrio psichico degli stessi.

Capitava che un soldato scendeva a valle tenendo in mano la briglia del mulo, convinto di avere il mulo accanto, ma il mulo non c'era.

Questo è solo uno dei numerosi episodi di pazzia, frutto di una guerra terribile e logorante. Quando questa sindrome colpisce anche i gradi superiori significa che c'è anche una cattiva gestione in alto, come nel caso del capitano della brigata Salerno.

Questi, nel ritornare in linea perse il controllo di se stesso, proprio davanti ai suoi uomini e iniziò a urlare come un forsennato: "non voglio tornare sullo Smerli, non ho voglia di morire senza scopo, senza ottenere nulla, perchè lo Smerli non si prende. Sono sei mesi che siamo a battere e battere su questo chiodo di ferro e di morte. Più in la non si va, la vetta non si piglia!

Così fu!

 

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