Jacopo
Stellini
Con l’intento di ricordare meglio Iacopo Stellini,
matematico, critico, poeta, autore del trattato: “DE ORTU ET PROGRESSU MORUM
ATQUE OPINIONUM AD MORE PERTINENTIUM” ecc. sono state scritte in 150 anni,
numerose biografie e profili, senza contare i più brevi cenni compresi in
repertori ed opere di carattere enciclopedico o in altri scritti che parlavano
di lui in maniera occasionale. Era tenuto in gran considerazione da scrittori
dell’ epoca molto più famosi al pubblico come il Romagnosi, l’ Algarotti
e Nicolò Tommaseo, che divulgavano il suo nome in Italia, mentre lo aiutò
meno la diretta conoscenza e valutazione della sua varia e voluminosa opera di
scrittore. Nato nelle Valli del Natisone, e più precisamente a Tribil
Superiore, come risulta scritto a pg. 292 del volume secondo del registro
Nascite della Parrocchia di San Leonardo (allora parrocchia di San Leonardo
degli Slavi) “adi 29 di Julio 1688. Jacobus f. leg.mus et nat.lis Canciani Stelin et uxoris ej.s
Margarita de Tribil superiori Baptistas è per me Ant. Querin
(Cappelanus Paroch.) Patrinus fuit Hermagoras Stelin et Maria Petrosa ambo de
Tribil. »
Altre fonti lo vorrebbero figlio di Mattia Rodaro, detto Stellino, e di Andriana Piccini, e nato a Cividale del Friuli il 27 aprile 1699. Contro l’origine cividalese si obietta la mancanza del casato Stellini nelle anagrafi di quella città ed il fatto che la sostituzione del cognome vero con un sopranome del padre non sembra verosimile, in un tempo in cui la stabilità dei dati anagrafici era già sancita da disposizioni precise. Dopo aver frequentato le prime scuole, vestì a Cividale, il 9 novembre 1718, l’abito dei “Clerici Regolari Somaschi”. Un anno dopo, compiuto il noviziato, emise i voti della casa della CONGREGAZIONE a Venezia e continuò gli studi alla SALUTE con eccezionale profitto, apprendendo la retorica da Gaspare Lenarducci, il greco da un certo Panassa, l’ebraico dall’abate Francesco Birone. Quindi passò alla casa-madre di SOMASCA per gli studi teologici, compiuti i quali, sotto la guida del padre Ottone Visconti, tornò a Venezia ad insegnare retorica, prima ai giovani confratelli della SALUTE e poi nell’ACCADEMIA dei tre figli del patrizio Giovanni EMO ( Alvise, Angelo e Pietro). Nello stesso tempo, dedicandosi con tutto l’ardore allo studio di varie discipline, egli acquisì quella straordinaria cultura enciclopedica che poi gli consentì di trattare, con sicura competenza di maestro, gli argomenti più disparati.
Nel 1739, essendo morto il Giacometti, che insegnava filosofia morale nell’Università di Padova, lo stesso EMO si interessò affinché fosse assegnata quella cattedra allo Stellini, che la tenne ininterrottamente per 30 anni, cioè fino alla morte. Stabilitosi nel convento di Santa Croce, egli vi condusse vita molto ritirata e laboriosa, preparando con la massima diligenza le sue lezioni, aggiudicando l’insegnamento in rapporto a tutte le pubblicazioni che uscivano e a tutte le opinioni che si discutevano su argomenti comunque pertinenti a problemi etici. Non era chiuso alle dottrine politiche, ma era assolutamente distaccato e indifferente davanti agli avvenimenti reali ed ai rivolgimenti del suo tempo; schivo di polemiche e di competizioni, estraneo alle infinite beghe dei suoi colleghi d’insegnamento, era amante della tranquillità e della vita sedentaria. Fu schietto e semplice nei modi, modesto e amabile nella conversazione, gentile anche con chi non condivideva le sue opinioni, nemico di certi libri, ma molto rispettoso dei loro autori, incurante della forma e sempre restio a pubblicare quanto scriveva; era tuttavia legato a molti dotti, con frequente corrispondenza erudita, e fedele e disinteressato verso i pochi e scelti suoi amici.
Dai suoi coetanei veniva descritto così: non aveva notevoli doti esteriori, era sdentato fin dalla giovinezza, parlava con voce stonata, nasale e monotona, ma le sue lezioni erano interessantissime. Un suo uditore, il Mobil, scrive che egli era brutto come brutto era il filosofo Socrate, cui somigliava molto; aveva salute malferma per frequenti disturbi intestinali, ma si sforzava di essere sempre alla sua cattedra. Nell’inverno del 1770 fu colpito da grave dacriocistite (epifora, dicono i vecchi biografi) e morì il 27 marzo di quell’anno. Fu sepolto a Padova in Santa Croce, dove una semplicissima iscrizione lo ricorda. Jacopo Stellini in un ritratto esposto nel Museo di Cividale del Friuli |