Ivan Trinco

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Nato a Tercimonte (Tarčmun), nel comune di Savogna, il 25 gennaio 1863, da Trinco Antonio e Golob Maria, trascorse l’infanzia nel suo paesino, nelle Valli del Natisone, posto sulle pendici del monte Matajur.   Fu nella scuola elementare di Jellina che iniziò quegli studi scolastici  che, ben presto, lo allontanarono dalle Valli e lo condussero, dapprima a Cividale del Friuli, dove terminò le scuole elementari, e alla fine nel seminario di Udine, dove intraprese  gli studi religiosi terminati con la sua consacrazione sacerdotale. Celebrò la sua prima messa il 20 giugno 1886 nel suo paese natio, ma ben presto fu richiamato in seminario dove gli venne  affidata la mansione  di prefetto di disciplina e insegnante di catechismo. Fu docente di varie materie finché nell’anno 1894, prese e mantenne per quasi mezzo secolo la cattedra di filosofia.  La lontananza dalle sue valli, ed in modo particolare dalla sua lingua, fu mitigata dal fatto che in seminario poté attingere a numerosi testi sloveni con i quali poté approfondire la conoscenza della sua lingua natia. In poco tempo Trinco assunse la completa padronanza della lingua slovena, passando rapidamente dalla fase apprendimento a quella di creazione. La sua prima opera di poeta fu pubblicata nel 1885 sulla rivista letteraria “Ljubljanski Svon”. Sotto lo pseudonimo di Zamejski (d’olteconfine)  pubblicò la raccolta di poesie “Pesmi beneškega Slovenca”. Fu da allora che iniziò a collaborare costantemente con diverse riviste letterarie slovene. Scrisse in seguito, “Propad Ogleja” (La caduta di Aquileia), oltre 500 esametri che cantano la rovina della città, avvenuta nell’anno 453. Nel 1897 pubblica una raccolta di versi intitolata “Poesije”. La sua produzione comprende numerosi altri scritti, richiamandosi frequentemente anche ad avvenimenti passati che hanno visto come protagonisti le sue valli e la sua gente; possiamo ricordare: “Gli Salvi veneti”,  anno 1883; “Dell’origine degli Sloveni nel Friuli”, anno 1866; “La Slavia Veneta”, anno 1898; “Gli Sloveni in Italia”, anno 1899; “Andiamo in Resia”, anno 1907; “I nostri monelli”, anno 1929.  Un incidente automobilistico avvenuto nel 1942 gli causò la frattura del femore e lo costrinse per tutta la vita all’ausilio delle stampelle; fu così che alla fine della seconda guerra mondiale terminò la sua attività di docente e tornò a Tercimonte, dove visse fino all’anno 1954. Dobbiamo ricordare come Trinco, oltre alle mansioni strettamente legate al suo stato di sacerdote, ebbe anche altri incarichi; dal 1913 al 1942 fu direttore del Collegio delle Nobili Dimesse  di Udine e dal 1902 al 1923 fu consigliere provinciale, cosa assai inconsueta per un sacerdote.  L’epoca in cui visse fu dominata da eventi a causa dei quali la sua gente, ed il  mondo slavo che lui amava, trovarono le più grandi sofferenze ed avversità. Quest'epoca iniziò con il nascere dell'irredentismo, che condusse l'Italia alla prima guerra mondiale. Durante questa guerra le nostre valli, e le zone d'oltre confine, furono trasformate in un immenso campo di battaglia. Seguì poi il periodo fascista che portò l'Italia ad un altro conflitto. Il periodo post bellico costrinse la nostra gente ad ulteriori sacrifici in quanto iniziò un'altra guerra, chiamata "guerra fredda". Il timore di un attacco militare proveniente dall'est trasformò le  nostre valli  in un enorme bunker ed il territorio fu soggetto a diversi vincoli. Tutta questa storia non fu certamente benevola verso chi parlava una lingua diversa da quella nazionale.  Nel 1933 le leggi fasciste addirittura proibirono alle nostre genti l'uso della propria lingua, quella slovena, qui parlata da secoli. In questo contesto, oltre al Trinko, andrebbero ricordati diversi nostri sacerdoti che cercarono di difendere l'identità della nostra gente. Senz'altro il Trinko fu la guida più eminente. La sua salma riposa nel cimitero di Tercimonte.

 

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